
Nuove regole per la pubblicità sul web: l’importanza di essere onesti
Il principio di trasparenza è uno dei principi fondamentali della comunicazione commerciale in Italia.
Enunciato dall’art. 5 d.lgs. 145/07, nonché dall’art. 7 del Codice di Autodisciplina AIP, esso impone che “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale”.
Questo significa – senza ambiguità – che a prescindere dal mezzo, dal canale, dai media, dal supporto o dal contesto la comunicazione commerciale deve essere chiaramente distinta dall’informazione, dall’arte, dalla letteratura e così via.
Si tratta di un principio semplice e potente, che trova il suo fondamento nella lealtà che deve improntare i rapporti tra le aziende e le marche da un lato e i consumatori dall’altro.
Tutto chiaro?
In linea teorica dovrebbe, ma sappiamo già dall’esperienza del product placement nei film, in televisione e nei romanzi che le cose non vanno così lisce e ci può essere la tentazione di giocare un po’ a nascondino.
Oggi ci sono molti programmi televisivi che dichiarano apertamente la presenza di prodotti con finalità pubblicitarie, il cui elenco scorre lealmente nei titoli di coda (pensiamo ai più celebri cooking shows, ad esempio), ma rimangono vaste zone d’ombra, e spesso sorge il dubbio se la scelta di un’automobile, di un vestito o di un tipo di arredamento sia funzionale alla narrazione o meno.
E con il web, ed i social networks in particolare, basati per loro natura sulla condivisione di immagini e opinioni, l’ambiguità non poteva che peggiorare.
Chi può dire se il post di un evangelist o di un influencer che testa un nuovo smartphone è frutto di un accordo commerciale? E la bellezza al bagno che sfoggia i suoi nuovi occhiali da sole su Instagram, lo fa spontaneamente o è incentivata dal generoso produttore?
La Digital Chart, pubblicata a giugno 2016 indica regole di condotta più chiare per bloggers, youtubers, evangelists, influencers, e chiunque altro pubblichi sul web messaggi con contenuto pubblicitario
Da questa situazione ha preso le mosse l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (IAP) per affiancare al Codice di Autodisciplina (che dal 1966 è un faro nel mare della comunicazione italiana) la Digital Chart, pubblicata a giugno 2016 per indicare regole di condotta più chiare per bloggers, youtubers, evangelists, influencers, e chiunque altro pubblichi sul web messaggi con contenuto pubblicitario.
Si tratta di regole importanti, in quanto gli investimenti pubblicitari sul web sono cresciuti dal 3% nel 2007 al 26,6% nel 2015, e continuano ad aumentare.
Le regole stabilite nella Digital Chart sono formulate con l’intento di aumentare la trasparenza e restringere lo spazio di manovra dei furbi.
Quando per esempio un blogger o un personaggio famoso molto attivo (influencer) stipula un accordo commerciale con un’azienda per promuovere i suoi prodotti, i contenuti pubblicitari devono rispettare il principio di trasparenza.
Nella realtà questa regola si rivela presto fragile, perché sui social networks, nei siti web e anche nei quotidiani on-line le inserzioni pubblicitarie si confondono spesso abilmente con i contenuti, utilizzando grafiche o widgets che li mimetizzano all’interno della pagina web.
In altri casi i contenuti commerciali sono separati dalle notizie e dai post normali da una linea o un riquadro, e a fianco compare la scritta “contenuto pubblicitario”, “contenuto sponsorizzato”,“le aziende informano”, o simili.
Sui motori di ricerca i contenuti pubblicitari si distinguono in genere in modo più chiaro per la presenza della parola “annuncio”, oppure perché le voci sono separate dai risultati organici della ricerca da una linea orizzontale. Occorre però tenere presente che la trasparenza non dovrebbe essere misurata sulla competenza informatica dell’utente esperto, bensì dovrebbe essere tale da consentire anche ai meno esperti di comprendere che si tratta di risultati per i quali sono stati pagati dei soldi (a volte non pochi, per le parole chiave più contese).
Una tecnica pubblicitaria su cui la IAP pone l’accento è l’endorsement – termine che indica l’accreditamento di un prodotto o di un marchio da parte di un personaggio famoso o di una celebrità.
In rete ci sono nuovi soggetti (influencers) che hanno la capacità di influenzare i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand perché hanno acquisito fama o autorevolezza. È il caso di famosi food-bloggers con un largo seguito di pubblico, che hanno saputo trasformare i loro blogs in attività remunerative. Alcuni You Tubers raggiungono una notorietà tale da passare dalla rete alla TV e al cinema.

L’inserzione pubblicitaria si può riconoscere dagli hashtags (#) con il nome della campagna pubblicitaria e dal tag (@) al marchio (fonte: www.aip.it).
Stringere accordi commerciali con foodbloggers e altri influencers è una valida opzione di marketing: è più economico rispetto a grandi campagne pubblicitarie e può raggiungere un pubblico ben profilato.
A maggio 2016 Twitter e Annalect hanno rilevato come il 49% degli utenti reputi affidabili i consigli degli influencers e sia propenso a seguire le loro raccomandazioni
Ma quanto possono incidere gli influencers?
Per dare qualche numero, a maggio 2016 Twitter e Annalect hanno rilevato come il 49% degli utenti reputi affidabili i consigli degli influencers e sia propenso a seguire le loro raccomandazioni.
La percentuale di affidabilità delle persone amiche è di appena di 7 punti superiore (56%).
Inoltre l’intenzione d’acquisto di un consumatore esposto al tweet di un brand raddoppia se ad esso è associato il tweet di un influencer.
L’operazione può però essere anche molto costosa, se si coinvolgono personaggi di primo piano.
Secondo la piattaforma americana di analisi dei flussi social Captiv8 le celebrità con un seguito di followers tra i tre e i sette milioni di persone ricaverebbero mediamente 75.000 dollari per un post pubblicitario su Instagram, mentre un post nativo (in grado di non essere identificato come pubblicazione commerciale) su Twitter ciò varrebbe circa 30 mila dollari.
Le star di YouTube riceverebbero invece una media di 187.500 dollari per ogni video sponsorizzato, stando alle indiscrezioni del settore.
Il problema vero è che gli endorsement si prestano a non essere percepiti come pubblicità dal consumatore, ma come consigli o opinioni sincere, risultando più efficaci e capaci di generare maggiore fiducia nei consumatori.
Le nuove regole stabiliscono che quando un commento o un’opinione su un prodotto o su un marchio sono espressi da una celebrity, da un influencer o da un blogger sulla base di un contratto di natura commerciale ciò deve essere espresso in modo chiaro e visibile.
C’è da dire che la rete nel frattempo si è data le sue convenzioni.
Per distinguere i messaggi pubblicitari dai propri contenuti, molti personaggi utilizzano dei segni che è bene conoscere.
C’è chi adotta gli # (hashtags) per segnalare il nome del brand o del prodotto oggetto della pubblicità, oppure il nome della campagna in corso (se è famosa).
Spesso il messaggio pubblicitario è anche accompagnato dal link al sito web dell’azienda e dal tag (@ seguito dal nome) che rinvia alle sue pagine sociale.

Pubblicità di un pastificio, riconoscibile grazie a hashtag e link (cerchiati in rosso), sul profilo Instagram di una foodblogger. (fonte: www.aip.it).
Lo Iap presenta alcuni esempi di post sui social fedeli alle regole del Codice di Autodisciplina.
Una showgirl pubblica su Instagram una propria foto mentre gusta uno yogurt di marca, accompagnata da un commento in cui apprezza il prodotto.
Per chiarire che è pubblicità si può utilizzare il @tag alla pagina dell’azienda su Instagram e tre #hashtags riferiti al prodotto.
Se invece una esperta di alimentazione condivide sul proprio blog la fotografia di un pacco di pasta inviatole direttamente da un pastificio, il carattere pubblicitario del messaggio emerge dalla presenza di hashtag e link riferiti all’azienda.
I personaggi che creano contenuti video su YouTube, Vine e altre piattaforme (youtuber e vlogger) per evidenziare il carattere pubblicitario utilizzano delle scritte in sovraimpressione, oppure è lo stesso soggetto che nel video dice che si tratta di un messaggio commerciale.
La promozione di un prodotto o di un marchio può avvenire anche sotto forma di commenti e discussioni tra utenti che sono particolarmente critici in termini di trasparenza e lealtà, perché possono sembrare del tutto spontanei e sinceri, mentre spesso si tratta di contenuti frutto di accordi commerciali, con l’obiettivo di condizionare a favore del committente le conversazioni sul web.
In questo caso il contenuto pubblicitario deve comunque essere dichiarato, anche se non esiste una formula specifica per segnalare il contenuto promozionale dei commenti, per cui ogni sito sceglie il modo che ritiene più opportuno.
Dobbiamo sempre ricordare che la posta in gioco è la fiducia del pubblico, sia dei consumatori che delle imprese, fiducia che gli strumenti offerti dalla rete rischiano di logorare se non usati in modo leale e trasparente.